ANKHESENAMON, SPOSA DI TUTHANKHAMON

Tutti conosciamo Tutankhamon e la sua splendida tomba, ma meno nota è la sua sposa, Ankhesenamon. Prima di parlare della regina, sarà utile ricordare il periodo storico in cui visse, l’età amarniana. Nella nuova religione amarniana il Disco solare diviene il creatore e faraone celeste, ma anche dio dell’aldilà, cui il popolo si può avvicinare per tramite del faraone, e non più del clero specializzato. L’impatto sulla popolazione fu però pressoché nullo, dato anche il rapido trasferimento della corte ad Amarna. La riforma non ebbe influenza sul sistema amministrativo, ma lo ebbe sul piano economico e artistico; il re chiuse o limitò l’attività di alcuni templi, impadronendosi dei beni clericali, con un conseguente accentramento dell’amministrazione e dell’esercito. La limitazione dell’economia templare ebbe però effetti negativi. I documenti furono redatti nella lingua parlata corrente, e non in egiziano medio. Grandi cambiamenti avvennero nell’arte e nella moda, che vedono l’accentuarsi del realismo e una maggior presenza di donne e bambini.
Un ruolo importante, in ambito religioso, fu quello della regina Nefertiti, sposa di Akhenaton: ella compare spesso nel ruolo di sacerdotessa, assistita a volte dalle figlie; tale ruolo religioso non è una completa novità, in quanto è un’evoluzione del ruolo già ricoperto dalla regina Tiy. Aton richiede sacerdoti e sacerdotesse per il suo culto, come emblema della fertilità divina.

La coppia reale è vista come la rappresentazione terrena di Shu e Teftunut. Anche se il re continua a giocare un ruolo preminente, la regina è rappresentata di fronte al re, e non dietro o a fianco.
Il ruolo religioso di Nefertiti divenne via via preminente, mentre sul suo ruolo politico permangono ancora dei dubbi: ella, infatti, non compare nella corrispondenza di Amarna, a differenza della regina Tiy, moglie di Ay, ma appare spesso accanto al marito con il titolo di Signora delle due Terre, in dimensioni identiche a quelle del consorte. In alcuni blocchi da Amarna ed Ermopoli Magna, la regina accompagna il re che colpisce i nemici, ma poi appare la regina che colpisce a sua volta un nemico femminile. In un blocco ora a Berlino Nefertiti siede su di un trono di dimensioni maggiori rispetto al marito, anche se quest’ultimo tiene in braccio la figlia maggiore. Ella porta una grande varietà di parrucche e corone, fra cui la corona blu, la corona atef, e il copricapo Khat, portato dai re, ma anche da Iside e Nefti. E’ possibile che sia stata co reggente del re, ma non vi sono prove sufficienti a dimostrarlo3. Un altro elemento utile per definire quello che sarà il ruolo della figlia Ankhesenamon: una delle prime immagini viene dalla tomba del vicerè Ramose, dove è una giovane donna con ureo e parrucca di stile nubiano, mentre accompagna il marito alla finestra delle apparizioni. Porta una gran varietà di corone: l’ureo semplice o doppio, le corna bovine con disco solare, le doppie piume, la corona blu, ma non il copricapo con l’avvoltoio, legato a Mut, sposa di Amon; spesso ha una corona blu simile a quella di Tefnut. La regina e il re hanno un aspetto molto simile, con un addome prominente simbolo di fertilità. Inoltre la pelle delle donne ad Amarna diviene rossa come quella degli uomini; una statua colossale senza genitali evidenti e iscritta con il cartiglio di Aton potrebbe appartenere ad entrambi.
Il volto è spesso arrotondato, ma con mascelle squadrate, zigomi sporgenti e labbra dritte.
L’identificazione fra la terza figlia di Akhenaton e di Nefertiti con la sposa di Tutankhamon fu merito di H. Brugsch nel 18775.
Terza figlia di Akhenaton e Nefertiti, sposò Tutankhamon a tredici anni; è conosciuta anche come Ankhesenpaaton (cambiò probabilmente nome, come Tutankhamon, dopo l’abbandono di Amarna). Cimmino esclude l’ipotesi, sostenuta da Aldred, di un precedente matrimonio fra Ankhesenamon e Smenkara.
Nell’arte di Amarna, Ankhesenamon compare come una giovane fanciulla nuda, con la forma del cranio allungato. La giovane coppia risiedette forse nel palazzo di Tuthmosi I. Nel corso degli scavi del palazzo nord sono stati trovati diversi oggetti con i nomi di Nefertiti, Ankhesenamon e Tutankhamon.
Come regina, è ritratta nello stile tipico di sua madre e di sua nonna; nel tempio di Luxor compare come dea Mut, mentre in una tomba privata ha le sembianze di Maat. E’ anche rappresentata in un frammento d’oro in compagnia del marito che stermina i nemici d’Egitto.

Sono probabilmente sue le due bambine i cui corpi mummificati sono stati ritrovati: si tratta di due feti di 5 e 7 mesi.
La stele UC410 del Cairo mostra Ankhesenamon come Grande Sposa Reale e indica l’importanza assunta dalla regina. Lei compare anche nelle iscrizioni della tomba reale di Akeht-Aton, in un rilievo in calcare dalla tomba di Ay, nelle scene della Finestra delle Apparizioni dove Akhenaton e Nefertiti offrono ad Ay e alla moglie l’ “oro del merito”; forse in una stele del terzo del regno di Ay.
Accompagna il re probabilmente anche su di una stele risalente al terzo anno del regno di Ay, poi abrasa e usurpata da Horemheb (anche se Marc Gabolde ha ipotizzato che si trattasse invece della figura di Ay). Sulla facciata nord del VII pilone di Karnak i cartigli degli sposi reali sono messi sotto la protezione di Amon e Mut (il cartiglio è stato poi abraso e vi è il nome della moglie di Horemheb).
Su di una lamina d’oro proveniente dalla tomba KV58 assiste Tuthanhamon nell’uccisione dei nemici mentre in un’iscrizione da Giza ricorda come Ankhesenamon e il marito fecero un sacrificio alla sfinge. In un blocco di una collezione privata di Alessandria, ella accompagna il re reggendo il sistro (con l’epiteto “le cui mani pure reggono il sistro”), ma è di dimensioni più piccole rispetto al sovrano, un ritorno ai canoni pre-amarniani. Il suo cartiglio è inciso insieme a quello del re su due astucci per il trucco ora al British Museum, noti prima della scoperta della tomba, così come su di un cubito forse da Abu Gurob.
Scaramuzzi e Aldred hanno attribuito alla coppia reale anche la statua di Torino di Horemheb con la moglie, ma non ci sono prove di un riuso della stessa.
Nei primi anni di regno la regina è rappresentata secondo canoni che ricordano quelli della madre Nefertiti, ma in seguito, specie nella tomba, i canoni amarniani si attenuano, e la sua presenza diventa più discreta. E’ possibile che proprio i suoi genitori, invisi al clero tebano, abbiano fatto sì che la presenza nella tomba fosse estremamente limitata. Anche l’atteggiamento degli sposi reali mostra meno intimità rispetto al periodo amarniano. Nella tomba di Tuthankamon, ella compare in un tempietto dorato, che conteneva le statue dei due sposi (quello della regina è stata trafugata) dove la decorazione mostra la coppia reale: Ankhesenamon offre al re le frecce, mentre egli, accompagnato da un leone, scaglia frecce contro delle anatre palustri; è insieme al re su di una imbarcazione mentre Tutankhamon tiene nel pugno un gruppo di anatre, mentre nella scena a fianco è in piedi accanto al sovrano. Su di un’altra lamina in oro il re, con la corona kepresh, le versa sul palmo degli unguenti, mentre a fianco ella offre al re gli emblemi di Hathor. Su di un pannello dello scrigno n° 540 ella è accoccolata vicino al re che scaglia frecce in un paesaggio nilotico, mentre su di un altro cofanetto in avorio Ankhesenamon offre allo sposo mazzi di papiro, loto e mandragola. Sul cofanetto n° 108 una lamina d’oro la ritrae mentre offre a Tutankhamon il sistro e la collana menat. Più nota è la scena sul sedile in oro di Tuthankahmon, dove Ankhesenamon porta una corona ornata di urei, doppie corna e piume di struzzo. Su di una lampada in calcite (n° 173), la regina offre al re i simboli dei “centinaia di migliaia di anni”. Il nome degli sposi regali compare su alcuni vasi: il n° 210, il n° 520, il n° 579 (decorato da una figura di leone). Il profilo della regina e del suo sposo sono presenti anche nella decorazione di una cassetta lignea, realizzata in foglia d’oro, scoperta da Theodore Davis in una camera sotterranea posta a nord della tomba di Horemheb.
L’episodio forse più noto che la riguarda è quella della lettera a Suppiluliuma, re degli Ittiti, nel gennaio del 1323 a.C., ritrovata nell’archivio di Hattusha nel 1907 da Hugo Winkler, scritta in lingua nesita (KBo 2003); recata da un messaggero di nome Hani, essa recita: «Mio marito è morto. Non ho figli. Ma, dicono, tu hai molti figli. Se tu mi dessi uno dei tuoi figli, diventerebbe mio marito. Non prenderei mai uno dei miei servi e renderlo mio marito… Sarà mio marito e re d’Egitto». Il re mandò un ambasciatore in Egitto, Hattusa Zitis, ma la regina nel frattempo scrisse: «Perché hai tu pensato che io ti volessi ingannare? Se avessi avuto un figlio, sarei io forse ricorsa, a mia vergogna, a un Paese straniero? Non ho scritto ad altri, solo a te; dammi uno dei tuoi figli, per me sarà solo un marito, ma per l’Egitto sarà re.» Il figlio di Suppiluliuma Mursili II fa allusione ancora due volte alla lettera ricevuta dal padre, e afferma di non aver fatto alcuna modifica agli annali paterni. Un altro testo, KBo, III,7 riporta gli stessi fatti: forse si tratta di una trascrizione non letterale della seconda lettera.
Fu inviato il principe Zannanza, ma fu assassinato durante il viaggio: si possono fare qui varie ipotesi. Egli può essere stato assassinato da una fazione hittita ribelle, oppure da emissari di Ay o ancora da Horemheb, o ancora da nomadi quali i Sutu o gli Apiru. Purtroppo non c’è nessuna notizia negli Annali hittiti, se non una lettera di Suppiluliuma a un re egizio anonimo, dove lamenta l’uccisione del figlio; sembra che il sovrano egizio negasse qualunque coinvolgimento.
Nel testo ittita la mittente della lettera è chiamata «Dahamenzu», trascrizione fonetica di ta set neferu, la moglie del re. Sayce legge Dahammunuish come (S)akhamun (quindi Ankhesenamon), mentre altri studiosi ritengono si tratta della parola «vedova». In realtà, ci sono quattro regine che possono essere le autrici della lettera: Nefertiti, Kiya, Meritaten e Ankhesenamon. Tuttavia, le prime due erano probabilmente morte all’epoca della lettera e Meritaten non era nella posizione di ereditare il trono. Ankhesenamon sembra quindi la probabile autrice della lettera. Alcuni ritengono tuttavia che la frase relativa ai servi sia un riferimento ad Ay; secondo Nicholas Reeves l’autrice sarebbe dunque Nefertiti. Bob Brier ritiene, invece, che Ay abbia sposato Ankhesenamon, ma l’abbia poi uccisa per tornare alla moglie legittima, ma non esistono prove di questo. L’unica possibile prova di un tale matrimonio è un anello della collezione Blanchard con i cartigli di entrambi, ma di autenticità dubbia.
Il nome del faraone, indicato anche nella seconda tavoletta, implica alcuni problemi: B.pi-ib.p-huru-ri-as non corrisponde ad alcuno dei re del periodo; se si legge Piphururia potrebbe essere il prenome di Ay hpr-hper.w-r. Potrebbe, però, anche essere il prenome di Akhenaton nfr-hr.w-r, scritto spesso Naphururia nelle lettere di Amarna. Potrebbe, però, anche essere la trascrizione del nome di Tutankhamon Nb-hpr.wr. Forrer ritiene che si tratti di Tutankhamon, ritenendo Dahammunuish la trascrizione del nome di Horo d’oro del re tut-nh-imn-hk-iws-sm. Tuttavia poi lo studioso su base cronologica e storica, ma non filologica, propende per Akhenaton, ritenendo che si tratti di un re morto ad Amarna e non a Tebe e che solo una donna di forte personalità come Nefertiti potesse essere l’autrice della lettera. Sturm, propende, invece per Tutankhamon, sostenendo che si tratti del faraone citato in un’altra tavoletta hittita, la KBo V6, come Bibhururria[sh], la cui vedova, Dahammunu[ish], scrive a Suppiluliuma, impegnato nell’assedio di Karkemish, di sposare uno dei suoi figli.

Nel 1944, un altro testo (KUB XXXIV,), pubblicato da Edel, ha trascritto il nome il nome Ni-ib-hu-ru-ri- ias, che stabilisce l’equivalenza delle diverse trascrizioni precedenti: Nibhururia, Bibhururia[sh], Nebkheperure, e quindi Tutankhamon.
Un altro problema che riguarda la sposa di Akhenaton è quello della sua tomba. Nel 2010 sono state fatte analisi del DNA sulle due mummie della tomba KV21 della Valle dei Re e si è ipotizzato che una appartenesse alla regina.
Il dna corrisponde con quello dei due feti della tomba di Tutankhamon, la cui madre è ritenuta proprio Ankhesenamon; tuttavia, il dna non è compatibile con quello della mummia della KV 55, attribuita generalmente è Akhenaton. Può quindi darsi che la mummia della KV21 sia di una moglie sconosciuta di Tutankhamon oppure la mummia della KV 55 apparterrebbe a un fratello di Akhenaton o forse a Smenkhara. Secondo alcuni, più semplicemente, Akhenaton non è padre biologico di Ankhesenamon; tuttavia, il dna della tomba KV21 sembra compatibile con quello dei Tutmosidi.
La tomba KV21 fu scoperta da Belzoni nel 1817 per conto di H. Salt. Lo schema è quello tipico ad asse piegato. E’ stata mappata e rilevata da James Burton nel 1825 e da Eugene Lefébure nel 1889, mentre scavi sistematici furono compiuti da Donald P. Ryan nel 1989-1990.
La tomba è stata purtroppo recentemente danneggiata da infiltrazioni d’acqua.
Essa conteneva due mummie femminili, purtroppo molto danneggiate dopo la scoperta del 1817, insieme a vasellame in terracotta e alabastro. Gli scavi di Ryan hanno evidenziato la presenza di Ramesse VI e VII, mentre Belzoni aveva rinvenuto vasellame databile ai regni di Hatschepsut e Tutmosi IV, contenenti lino e natron.
Nel 2006 Otto Scahden ha annunciato la scoperta di una nuova tomba, la KV63.
E’ una camera scavata nella roccia calcarea, cui si accede tramite un pozzo lungo 5m. Conteneva 7 sarcofagi vuoti (fra cui un piccolo sarcofago in foglia d’oro, verosimilmente per un neonato),  giare, scorte di natron, abiti femminili. Dei sarcofagi, quello da bambino (D) e uno da adulto (F), dalla caratteristica maschera funeraria, sembrano destinati a defunti di sesso femminile.
I blocchi di chiusura suggeriscono che la tomba sia stata aperta e chiusa più volte.
Alcuni frammenti di ceramica recano la scritta «…paaton», altra versione del nome di Ankhesenamon, Ankhesenpaaton. La datazione sembra confermare l’appartenenza ai regni di Akhenaton e Tutankhamon. Si è ritenuto che potesse ospitare la mummia della regina, vista la vicinanza alla tomba di Tutankhamon.
Nel 2006 vennero aperte 12 delle 28 giare che risultarono contenere materiale vario: olio verosimilmente di moringa, frammenti di papiro, conchiglie, pezzi di sigillo e di spago. Si confermò l’appartenenza del materiale alla XVIII dinastia e ciò avvalorò l’ipotesi che KV63 fosse, in realtà, solo un deposito di materiale per imbalsamazione in assonanza con il contenuto della KV54 ritenuta un deposito dei materiali di imbalsamazione della KV62 di Tutankhamon.
Nel febbraio 2009 si proseguì con l’apertura delle giare rinvenendo in una di queste, contrassegnata dal numero 13, un intero letto in legno, rotto in più parti, con piedi a forma di zampe di leone. Si ritenne che si trattasse di un letto su cui deporre le mummie durante il processo di imbalsamazione. Altre giare restituirono strisce di tessuto ripiene di materiali polverosi di colore marrone, o nero, ciotole con testi in ieratico, pezze di lino, tappi da anfore per vino recanti sigilli forse reali non ancora identificati, canne usate come contenitori di materiale polveroso.
Nello stesso periodo venne rimossa la resina dal coperchio del sarcofago contrassegnato dalla lettera “E” rinvenendo il nome femminile, usuale durante il Nuovo Regno, di Henut-wadjbu.
Nel febbraio 2010 il sarcofago “A” restituì il nome della Reale nutrice Iny e l’invocazione: «possa io vedere Ra nel cielo e bere dalla fonte». Alcuni indizi fecero datare questo sarcofago al periodo di Akhenaton. Nello stesso mese, il sarcofago “D” del bambino venne trasferito al Museo di Luxor per tentare la ripulitura dalle resine che lo ricoprivano.
Nel gennaio 2011, durante gli scontri della Primavera araba, la squadra di ricercatori si ridusse al minimo ed i lavori vennero limitati ad aspetti di routine (rilevazioni, disegni, fotografie delle suppellettili già recuperate).

CHIARA ZANFORLINI

Bibliografia

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