Il Libro dei morti è un antico testo funerario egizio, utilizzato stabilmente dall’inizio del Nuovo Regno (1550 a.C. circa) fino alla metà del I secolo a.C.Il titolo originale del testo, traslitterato ru nu peret em heru, è traducibile come Libro per uscire al giorno (altra possibile traduzione è Libro per emergere nella luce). “Libro” è il termine che più si avvicina a indicare l’intera raccolta dei testi: il “Libro dei morti” si compone di una raccolta di formule magico-religiose (anche di notevole lunghezza: in un’edizione del 2008 della traduzione di Budge, il solo testo raggiunge le 700 pagine[) che dovevano servire al defunto come protezione e aiuto nel suo viaggio verso il Duat, il mondo dei morti, che si riteneva irto di insidie e difficoltà, e verso l’immortalità. Fu composto da vari sacerdoti egizi nell’arco di un millennio, indicativamente a partire dal XVII secolo a.c.
Non vi fu mai un’edizione canonica e unitaria del Libro dei morti e non ne esistono due esemplari uguali: i papiri conservatisi contengono svariate selezioni di formule magiche, testi religiosi e illustrazioni. Alcuni individui sembrano aver commissionato copie del tutto personali del Libro dei morti, scegliendo probabilmente, con una certa libertà, frasi e formule che ritenevano importanti per il proprio accesso nell’aldilà. Il Libro dei morti era quasi sempre redatto in caratteri geroglifici o ieratici su rotoli di papiro, e talvolta decorato con illustrazioni o vignette (aventi, talvolta, un notevole valore artistico oltreché archeologico e paleografico) del defunto e delle tappe del suo viaggio ultraterreno.
Libro Egiziano dei Morti – Giudizio:
Una volta superate o eluse le insidie del Duat, il defunto sarebbe stato sottoposto a giudizio mediante il rituale della “pesatura del cuore” (psicostasia) descritto dalla lunghissima Formula 125. Lo spirito sarebbe stato accompagnato dal dio psicopompo Anubi al cospetto di Osiride, dove avrebbe dichiarato di non essere colpevole d’alcuno dei “42 peccati” contro la giustizia e la verità recitando un testo noto come “Confessioni negative”. Il cuore del defunto sarebbe poi stato pesato su di una bilancia a due piatti: un piatto per il cuore, l’altro per la piuma di Maat. Maat era la dea che personificava la verità, la giustizia, la rettitudine e l’ordine del cosmo ed era spesso simboleggiata da una piuma di struzzo (segno geroglifico del suo nome). Gli Egizi temevano che, davanti a Osiride, il cuore si sarebbe rivolto contro il defunto accusandolo ed elencando i peccati che questi avrebbe commesso in vita: tale eventualità catastrofica
era scongiurata dalla Formula 30B:
«Mio cuore, mia madre; mio cuore, mia madre! Mio cuore per cui io
cominciai a esistere! Che nulla possa, durante il (mio) giudizio, levarsi
ad oppormisi; che non via sia opposizione contro di me al cospetto dei
prìncipi sovrani; che non vi sia, da parte tua, divisione da me al cospetto
di colui che tiene la Bilancia! Tu sei il mio ka, l’abitatore del mio corpo; il
dio Khnum che assembla e rinforza le mie membra […]»
Se il cuore e la piuma si fossero eguagliati, allora le divinità si sarebbero convinte della rettitudine del defunto, il quale avrebbe perciò potuto accedere alla vita eterna divenendo maa-kheru, che significa “vendicato/ giustificato”, letteralmente “giusto di voce” (“beato” in senso lato); ma se il cuore fossero risultato più pesante della piuma di Maat, allora un mostro terrificante di nome Ammit, la “Divoratrice”, l’avrebbe divorato distruggendo lo spirito del defunto.
L’episodio della psicostasia è notevole non solo per la sua vivacità simbolica e perfino drammatica, ma anche perché è una delle poche parti del Libro dei morti con connotazioni morali. Il giudizio da parte di Osiride con altre 42 deità giudicanti e le altrettante “Confessioni negative” dipingono l’etica e la morale egizie.
Queste 42 dichiarazioni di innocenza del defunto
(“1: Non ho commesso peccato.
2: Non ho commesso furti con violenza.
3: Non ho rubato.
4: Non ho ucciso né uomini né donne […]”)
sono state interpretate da alcuni come possibili precedenti storici dei Dieci comandamenti: ma, mentre i Dieci comandamenti dell’etica giudeo–cristiana constano di norme attribuite a una rivelazione divina, le “Confessioni negative” si presentavano piuttosto come trasposizioni divine (ciascuna corrispondeva infatti a una delle 42 deità giudicanti) di una moralità quotidiana. Esiste un dibattito egittologico sul presunto valore morale assoluto delle “Confessioni negative” e sulla eventuale necessità di una purezza etica del defunto per accedere alla vita dopo la morte. John Taylor del British Museum è del parere che la Formule 30B e 125 evidenzierebbero un approccio pragmatico alla moralità: esistendo la possibilità di costringere, mediante la magia delle formule, il cuore a tacere i peccati e le eventuali verità scomode sul defunto, sembra che fosse possibile entrare nell’aldilà anche avendo alle spalle una vita non irreprensibile.