La magia nell’Antico Egitto

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La magia nell’antico egitto era chiamata heka. Per gli egizi l’heka era un regalo degli dei, una manifestazione usata anche dalle divinità. Questa magia era la prima emanazione del dio demiurgo Atom-Ra. Viene rapperesentata generalmente come un uomo che cammina, che indossa in copricato (nemes) e ha la barba intrecciata. Sin dal primo millennio a.C., il suo nome geroglifico è seguito dal segno “dio” e sulla testa appare il posteriore di un leone con un valore fonetico di “forza e “potenza”. Il dio Heka fa parte dell’equipaggio della nave di Ra, la quale naviga nel mondo sotterraneo nel suo navigare quotidianamente nella notte.

Nelle malattie, si ricorreva alla medicina come ultima possibilità. In alcuni documenti, dopo una diagnosi grave, non essendoci più rimedio il malato esclamava:

“Sono io quello che tu, (nome della divinità) vuoi che rimanga in vita!”

La magia ufficiale era esercitata da medici sacerdoti di alto rango. Uno di questi era Jaemuset, grande maesto di Path e figlio di Ramesse II. La dea patrona dei medici era la dea leonessa Sekmeth. Nel periodo delle inondazioni proliferavano una grande quantità di insetti e batteri. Questo faceva scatenare molte malattie nel delta del Nilo. Queste epidemie venivano attribuite a Sekhmet che, trasformandosi in venti maligni, attaccavano le persone deboli. Chi poteva generare il male, poteva anche distruggerlo, perciò i sacerdoti e i medici di Sekhmet facevano cerimonie in lode alla dea, chiedendo di intercedere per la salute del popolo e per i singoli malati.

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Il potere dell’heka con le offerte alimentari che venivano rappresentate sulle pareti delle tombe, le faceva assimilare, trasformandosi nel ka del defunto. La magia risiedeva anche nelle parole pronunciate, nella scrittura e nelle statue. Nei Testi delle Piramidi è riscontrabile la presenza della magia. Le scoperte archeologiche hanno fatto scoprire figurine di isiprazione magica. In Nubia sono sta rinvenute immagini di argilla rappresentanti nemici con le mani legate. Questi artefatti di argilla avevano spesso il nome della tribù di appatenenza con il corpo ricoperto di scritte minacciose e insultanti. Per agire contro minacce astratte, ci si basava sul visualizzare il male di cui si era minacciati. Il mago immaginava il pericolo sotto forma di nemico incapace di agire, piegato e con le mani dietro la schiena. Poi veniva modellata la figurina e raggiunta una forma umana, venivano recitati sortilegi di odio e disprezzo.

Veniva poi seppellita, senza distruggerla, per evitare che i frammenti che erano ancora pericolosi potessero ancora fare del male. Il modo più forte per distruggere tutte le forme del male, era il fuoco. In tal senso, specie in epoca greco-romana, le figurine venivano modellate in cera vergine, e dopo i riti, venivano sciolte nelle fiamme. Gli amuleti erano artefatti a cui si attribuivano poteri magici. Si può affermare che per tutta la civiltà faraonica, i gioielli potevano essere considerati amuleti per difendersi dal male.

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Gli amuleti venivano incastonati in anelli, bracciali o collane e caratterizzavano lo stato sociale dei loro proprietari. Le pietre preziose non erano per tutti. Chi non se li poteva permettere utilizzava ceramica invetriata, imitazione delle pietre originali. L’amuleto andava attivato. Venivano pronunciate delle formule misteriose da parte dei sacerdoti che caricavano di energia i talesmani creati. Una grande importanza per l’amuleto era il colore.

Quelli di colore verde evocavano la rinascita, da associare al esiderio che come la natura, anche i defunti nascessero a nuova vita. Questo colore fu molto usato nelle statuette funerarie (ushabti), con l’intento di potenzire le possibilità di rinascita. Altro amuleto era il nododi Iside o tyet. Collegato alla spina dorsale di Osiride djet e al suangue mestruale di Iside. Veniva modellato con cornalina rossa o in faience dello stesso colore. Il rosso rappresentava il cuore, l‘ib. Altri amuleti dal colore giallo erano associati con il Sole.

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