LE RADICI DELLE CREDENZE MESSIANICHE

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Uno dei fattori più importanti nel plasmare il Cristianesimo moderno è stata la fusione di due teologie, Israelita ed Egiziana. E’ essenziale comprendere ciò che i popoli precedenti credevano al fine di apprezzare il contributo delle loro credenze nella nascita del Cristianesimo “ortodosso”. Il fulcro dell’insegnamento di Mosè, come di Akhenaton, era l’esistenza di un solo Dio. Gli Egizi adoravano una pletora di dei, ma le credenze Messianiche, la promessa della vita eterna e l’importanza per la salvezza del rito del battesimo erano vecchi concetti Egiziani.

La base delle credenze Egizie sulla salvezza, era la natura divina che gli Egiziani attribuirono al loro re. Dalla IV Dinastia (il ventisettesimo secolo a.C.), il re fu considerato il Figlio dell’uomo di Ra, il dio cosmico. Le azioni del re erano considerate il compimento dei comandi di suo padre. Questo rapporto speciale tra il dio Ra e il re, si è manifestava nei tre eventi principali nella vita del sovrano, la sacra nascita, l’unzione nel momento dell’incoronazione e la resurrezione dopo la morte.

Al momento della sua incoronazione, il sovrano diventava il portatore dell’ufficio regale divino. La cerimonia di incoronazione, includeva la purificazione con l’acqua, l’unzione e l’indossare gli abiti reali, impugnando lo scettro della sua carica, portando le corone delle Due Terre (nera e rossa), poste sulla testa e la proclamazione dei suoi nomi e titoli reali. Il re veniva unto, non con l’olio, ma tramite il grasso del sacro coccodrillo. Qui troviamo la fonte originale della parola Messia. MeSeH, la parola coccodrillo nell’Antico Egitto, e l’immagine di due coccodrilli fu utilizzata per il titolo di sovrano, conferito al re, nel momento della sua incoronazione.

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L’evento decisivo nella vita del sovrano, era la sua morte e resurrezione. Entrando nel mondo divino alla sua incoronazione, un re cessava di appartenere al mondo umano, nell’istante della sua morte. Veniva detto che “diventava Osiride”, il dio Egizio degli inferi. Dal momento della morte del re Osiride, condivideva l’esistenza spirituale eterna con gli dei.

Inizialmente la promessa della vita eterna era limitata ai re e nobili, perché solo loro potevano permettersi il costoso rito della sepoltura. Tuttavia, dopo la morte di Tutankhamon negli ultimi anni della XVIII dinastia, ci fu un lungo processo di cambiamento nella teologia Osiriana, che portò alla nascita del culto di Serapide, i cui seguaci potevano partecipare alla promessa della vita eterna, senza aver bisogno della mummificazione, se confessavano la fede nella divinità e attraverso un rituale di iniziazione. Di conseguenza, il culto di Serapide, aperto ai poveri, così come ai ricchi, divenne la religione più popolare in Egitto e sostituì altri culti, come religione ufficiale dello Stato.

Il culto di Serapide si è basato inizialmente, sui due dei Egizi, Osiride e Api, il sacro toro di Menfi da cui il suo nome è derivato. Api, originariamente associato con l’antico dio Ptah di Menfi, in seguito venne collegato con Osiride. Da quel momento la morte del toro Api, diventò un evento importante. Gli fu dato un funerale ufficiale, in presenza di una congregazione di fedeli che gli portavano doni da ogni parte del paese. Il toro Api, godeva della vita eterna, nel senso che rinasceva appena morto. I sacerdoti cercarono le caratteristiche per la sostituzione di Api, e lo identificarono da una macchia nera sulla fronte, collo e schiena. Una volta trovato, la gioia sostituiva il lutto e il vitello divino veniva posto con la madre nella sacra stalla a Menfi, circondato da un harem muggente.

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Il culto Serapide viene datato dalla dinastia Tolomaica fino all’era pre-Cristiana in Egitto. La città di Alessandria, fu fondata, tre secoli prima dell’inizio dell’era Cristiana, da Alessandro Magno, re di Macedonia (un antico paese nel sud est Europeo), dopo la conquista dell’Egitto. Fu governato in seguito dai Tolomei fino al 30 a.C., quando Cleopatra (che in precedenza aveva messo a morte suo fratello, Tolomeo XIII) finì la propria vita, facendosi mordere da un aspide, dopo che fini la sua ribellione contro Roma, insieme con il suo amante Marco Antonio, con una sconfitta nella battaglia navale di Azio. L’Egitto poi passò sotto il dominio Romano.

Nei secoli successivi, Alessandria, capitale dei Tolomei, era diventata una città cosmopolita e il centro culturale del mondo civilizzato, una classificazione che ha continuato a tenere anche dopo che fu stabilita la supremazia politica di Roma. Un gran numero di immigrati arrivarono in Egitto, veterani militari Greco-Macedoni, premiati per il loro servizio con ricchi terreni agricoli, Asiatici, Ebrei, Siriani e Libici. Queste comunità tra sposati con gli Egiziani e con altri, portò alla creazione di una società in cui le tradizioni e le credenze religiose si fusero. All’inizio di questo processo di integrazione, Tolomeo I {c. 304-284 a.C.), introdusse, come religione ufficiale, il culto Egiziano di Serapide (a volte scritto Sarapide), con l’aiuto di Manetone, sacerdote Egiziano di Eliopoli.

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Tolomeo I, fu un instancabile lavoratore nella diffusione della cultura Egiziana in tutto il mondo Greco-Romano. Di conseguenza, il culto del dio Serapide si diffuse rapidamente da Alessandria verso la Grecia e l’Italia e, con il passare del tempo, trovò la sua espressione come una “sacra” famiglia composta da Osiride, la moglie Iside e il figlio dalla testa di falco Horus. Nella prima metà secolo dell’era Cristiana, questo culto era di gran lunga la religione Egiziana più famosa a Roma, ed aveva un tempio di Serapide già nel 105 a.C. Il fascino di Serapide, che aveva ereditato molti attributi di Osiride, tra cui la padronanza del mondo sotterraneo, e i riti mistici di Iside, a cui le donne e gli uomini venivano ammessi dopo una cerimonia di iniziazione, era basato soprattutto sulla promessa esplicita di immortalità, offerta agli aderenti. Iside, era vista come una figura, simile alla Madonna, che aveva sopportato le tribolazioni di tutte le donne.

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I culti di Iside e Serapide non solo a perdurarono alla nascita del Cristianesimo, ma nel secondo d.C., in realtà aumentarono in popolarità. Furono costruiti nuovi santuari, accompagnati da un massiccio aumento nelle iscrizioni votive rispetto a quelli degli ultimi due secoli. Il Cristianesimo e i culti pagani esistevano comodamente fianco a fianco in questa prima fase dell’epoca Cristiana ed erano frequentemente visti come intercambiabili. I Cristiani non facevano alcuna distinzione tra Cristo e Serapide e spesso adoravano entrambi. Nel 134 d.C., dopo una visita ad Alessandria, l’imperatore Adriano ha scritto una lettera al suo anziano cognato, Serviano, in cui ha commentato: “Così ti elogiamo l’Egitto, mio carissimo Serviano! So che la terra dall’alto verso il basso, una volubile, difficile terra, indecisa e pronta a mutar ad ogni occasione. In essa gli adoratori di Serapide sono Cristiani, e quelli che si definiscono i Vescovi di Cristo, sono devoti a Serapide… Ogni volta che il Patriarca stesso viene in Egitto per accontentare tutti è costretto ad adorare ora Serapide, ora Cristo.”

La sopravvivenza dell’antico culto Egiziano di Serapide a fianco del Cristianesimo è descritta anche particolarmente evidente nel fantasioso romanzo L’Asino d’oro (Metamorfosi) di Lucio Apuleio, un platonico, che si è formato a Cartagine, Atene e Roma. Il suo romanzo racconta le avventure e disavventure di Apuleio dopo che per magia si era trasformato in un asino, a cui viene ripristinata la forma umana alla fine del libro attraverso l’intervento misericordioso di Iside e Serapide. La dea apparse ad Apuleio, spiegando che lei è conosciuta con vari nomi, Minerva, Venere, Diana, Proserpina, Cerere, Giunone, Bellona, Ecate, “e gli Egiziani, che sono eccellenti in tutti i tipi di antiche dottrine, nelle loro cerimonie mi adorano, chiamandomi Regina Iside.”

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Dopo l’alba, Apuleio prese parte ad una cerimonia religiosa in cui la congregazione comprendeva “soffiatori di trombe, che erano devoti a Serapide” e vari sacerdoti, uno dei quali accompagnato con “una lucerna a forma di barca con un foro rotondo, avendo su di una parte, figure simili a quelle degli Egiziani.” Una volta che il grande sacerdote ebbe ripristinato Apuleio nella forma umana, gli disse: “Ecco, Lucio, tu ti sei consegnato da così grandi miserie alla provvidenza della dea Iside… facendo di te stesso uno di questo santo ordine… prendendoti su di te il volontario giogo del ministero”.

Apuleio continua a descrivere come si è recato a Roma, dove il suo più grande desiderio era “di recitare ogni giorno le mie preghiere alla dea Iside sovrana… continuamente adorata dal popolo di Roma” e aumentò la sua partecipazione religiosa, diventando un ministro di Osiride, “il padre sovrano di tutte le dee”, così come Iside: “Ho frequentato i sacrifici a Serapide, che venivano fatti nella notte, cosa che mi ha dato grande conforto”. Infine, “il grande dio Osiride mi apparve nella notte, non travestito in qualsiasi altra forma, ma nella sua essenza, comandandomi che diventi un avvocato in tribunale, e di non temere la calunnia e l’invidia delle persone cattive, che mi portano…rancore a causa della mia dottrina”.

Apuleio inoltre conferma, che la promessa della risurrezione era contenuta nei riti di Iside. Assicuravano ai mystae (seguaci), che avrebbero visto e venerato la dea nelle loro vita dopo la morte. Si tratta di un evidente parallelo con le aspettative dei Cristiani, sulla visione di Dio nell’altro mondo: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Matteo 5: 8).

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Con il diffondersi del Cristianesimo “ortodosso”, il tempio di Serapide, costruito da Tolomeo I ad Alessandria, che conteneva una enorme statua del dio nello stesso stile di come fu utilizzato in seguito per le rappresentazioni di Cristo nelle chiese copte, divenne il centro del culto di Serapide. Le pitture di Iside con il figlio Horus, furono identificati dai Cristiani con i ritratti di Maria con suo figlio Gesù. Il rito del battesimo, parte della cerimonia di iniziazione del culto Serapide, è stata adottata dalla Chiesa come parte della cerimonia dell’iniziazione Cristiana, e sopravvive ancora oggi.

In un articolo sul Journal of Egyptian Archaeology del 1950, Sir Alan Gardiner, l’Egittologo Britannico, ha sostenuto che il battesimo Egiziano dovrebbe essere visto come analogo al battesimo Cristiano. Ha citato 36 scene, una delle quali si trova nei Musei Vaticani, che hanno mostrato diversi Faraoni, battezzati ritualmente con acqua. Rappresentazioni simili si trovano nel culto funerario nelle tombe dei nobili o dei re Osirianizzati (nel senso che erano diventati tutt’uno con Osiride). Sulla somiglianza tra le due forme di battesimo Sir Alan ha detto: “In entrambi i casi una pulizia simbolica per mezzo di acqua serviva come iniziazione alla vita religiosa correttamente legittimita”.

Nel tempio di Hatshepsut e Amenofi III a Deir el-Bahri a Luxor, le scene della loro sacra nascita mostrano i neonati mentre sono battezzati. Il testo di accompagnamento recita: “essere puro insieme con il tuo ka (anima)… tu vivi in [eterno].” In tutte queste scene dell’acqua che viene versata dalla brocca sulla testa della persona battezzata è raffigurata come un flusso dell’Ankh, simbolo Egizio della vita.

Nel battesimo, vi era l’usanza di usare, quando possibile, l’acqua dell’inondazioni estive del Nilo, considerato un elemento di vita sacro, che assicurava anche la prosperità, fertilità e benessere familiare. Con l’aumento della sofisticazione ingegneristica, diventò abitudine creare un flusso simbolico del Nilo, organizzando un sistema di tubi attraverso i quali tale acqua “viva”, cioè, l’acqua che scorre, riempiva la vasca per essere utilizzato nella cerimonia.

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Ancora nel sesto secolo d.C., i Cristiani considerati ancora seguaci di Serapide, consideravano le acque di piena estive del Nilo come aventi proprietà particolari. Coloro che vivevano abbastanza vicino, si raccoglievano sulla riva del fiume per benedire e raccogliere l’acqua quando il Nilo iniziava il suo deflusso annuale. Coloro che abitavano lontano, benedicevano un bacino d’acqua come vero e proprio sostituto del fiume. L’importanza di utilizzare l’acqua “viva”, fu mantenuto dai primi Cristiani. L’acqua più adatta era stata considerata quella trovata alle sorgenti. Con la diffusione del Cristianesimo, però, divenne meno comune fare battesimi fuori di casa. Eppure ebbero cura di preservare la vecchia pratica Egiziana dell’utilizzo di acqua “viva” organizzando un sistema di tubi attraverso i quali l’acqua battesimale poteva fluire.

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Nei secoli successivi i Cristiani dimenticarono l’antica tradizione del significato di acqua “vivente” del Nilo per il rito battesimale. Ancora oggi, l’acqua utilizzata è contenuta in una “fonte” simbolica di una sorgente d’acqua e il simbolo dell’acqua “viva” che scorre è mantenuto versandola sopra la testa della persona che viene battezzata.

Gli Obelischi originariamente simboli solari collegati al culto del sole forniscono un’ulteriore indicazione della affinità tra antiche credenze Egizie, e ciò che può essere descritto come la seconda variante della Chiesa Cristiana, nel corso di questi primi secoli. Tredici obelischi, trasportati dall’ Egitto, si trovano a Roma rispetto ai solo otto di altre parti del mondo. Il più grande della collezione Romana, alto più di 30 metri e con un peso di oltre 400 tonnellate si erge nella piazza di San Giovanni, una cattedrale nella zona del Laterano a Roma (Tavola 35). La pietra per l’obelisco gigante era stata estratta 18 secoli prima da Thutmose III (Davide) ad Assuan. In un periodo di crescente fusione tra il culto di Ra e Amon, il dio dello stato la cui capitale era a Tebe in Egitto, l’obelisco fu eretto nel grande tempio di Karnak, dove era un oggetto importante di culto. L’obelisco Lateranense (vedi Tavola 35), è stato un dono di Costantino il Grande a Roma, avviato nel 326 d.C., 14 anni dopo la sua conversione al Cristianesimo. Costantino non vide alcuna contraddizione tra la presentazione di questo simbolo pagano a Roma e la sua fede Cristiana.

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In considerazione delle sue enormi dimensioni, non è sorprendente che, quando Costantino morì nel 337 d.C., l’obelisco del Laterano, non navigò oltre il porto di Alessandria. Rimase lì per altri 20 anni prima che infine Costanzo II, figlio di Costantino il Grande, presentò il suo dono a Roma nel 357 d.C. Un resoconto della consegna finale, fu scritto dallo storico contemporaneo Ammiano Marcellino, dove viene indicato chiaramente che con la sua azione l’imperatore muoveva il centro religioso del mondo dall’Egitto a Roma: “Costantino…[aveva strappato] la massa enorme dalle fondamenta, e ha giustamente pensato che non stava commettendo alcun sacrilegio nel prendere questa meraviglia da un tempio e consacrarla a Roma, vale a dire, nel tempio del mondo intero.”